17 ottobre 2014

I VOTT DE LA VESIGA, I SILENZI E LA DOMANDA SENZA RISPOSTA

Io conoscevo già tutti. Il Giannino quasi. Tra loro il Pol e il Tenca sono come fratelli ma gli altri gli hanno già visti chi un paio di volte chi mai. Il Piccinelli conosce solo il Luis. Il Morazza solo il Corbella. Eppure, già in coda sulla Varese-Milano siamo tutti amici da sempre. Lingua ufficiale il dialetto più o meno bosino. Ogni mezz’ora una perla di saggezza contadina. Dall’autogrill di Castronno fino al primo pernottamento ospiti della Famiglia Borsoi a San Pietro di Feletto nessuno tocca l’argomento salute. Esami, controlli, ricoveri recenti, interventi programmati. Niente per oltre 12 ore! Almeno per il Giannino è un record.
Nel nostro primo giorno in viaggio siamo accolti e presi per mano dalla direttrice del Museo della Croce Rossa Internazionale Maria Grazia Baccolo che ci accompagna dov’è nata l’idea di Croce Rossa. Da Castiglione delle Stiviere a Solferino, dal memoriale all’ossario. 

Regalo di giornata l'arrivo della splendida Giulia con i suoi genitori  che hanno pranzato con noi.
In serata, sotto lo stesso nubifragio che ci ha coperto dalla partenza e non senza una sosta benefica a Roncade, nella tenuta dei cognati e nipoti del Pol dove siamo stati accolti accolti da baci, abbracci, soppressa, bianco e coca cola, arriviamo, dopo un'altra tappa fuori programma in una cantina della zona, dai Borsoi a Falzè di Piave per cenare a San Pietro di Feletto e dormire a Sernaglia della Battaglia.
Poche ore ma intense comprensive da parte del capofamiglia Claudio, del miglior complimento per chi ha messo insieme l’allegra compagnia, “si vede che siete amici da sempre!”. 
La mattina seguente altra bella scoperta: il “piedibus” organizzato dai genitori per accompagnare i bambini a scuola limitando al minimo le penose processioni di auto davanti all’entrata, diventate ormai diritto acquisito in ormai gran parte della nostra penisola di Pulcinella.
Dopo aver chiuso le porte della scuola elementare salutando i "mini Borsoi" Margherita e Matteo sfornati da mamma Maristella, a metà mattina del secondo giorno il pulmino messoci a disposizione dalla gloriosa Handicap Sport Varese si rimette in moto in direzione Monte Grappa. Il cielo non è quel bel blù che si desidera ma in confronto al nero dell’intera prima giornata è sole pieno.
All’arrivo al Sacrario scende spontaneo il silenzio che ci accompagna fino alla ripartenza per Seren del Grappa, tappa per il pranzo ma soprattutto paese natale di Sebastiano Bof, papà del Giannino. Sosta obbligata davanti al nome del paese rigorosamente inciso nel legno e via che si riparte per Feltre passando da Lentiai, paese natale di Margherita Scariot, mamma del Giannino. 
All’arrivo a Feltre la compagnia si sgretola nelle rispettive camere per una siesta programmata che diventa una dormita prolungata. Al risveglio in sette hanno voglia di birra e il profumo del luppolo ci teletrasporta fino alla vicina Pedavena, culla della birra locale e non solo.
La sveglia risuona per dare il via al terzo giorno. Uscendo dalla “Locanda del Re” di Feltre dopo una veloce colazione ci contiamo in sette! Manca il Giannino…lo ritroviamo all’interno impegnato con il proprietario nella ricostruzione dell’albero genealogico dei Bof e degli Scariot. Arrivato a quattro generazioni precedenti lo prendiamo in braccio per metterlo sul pulmino pronto a partire per un’altra terra che genera silenzio: il Vajont. 
Grazie alla guida che ci segue e racconta per l’intera giornata con pausa pranzo a Erto, della tragedia del Vajont ne sappiamo di più. E’ un bene  perché potremo raccontarlo a nostra volta senza far parte di chi ne parla per sentito dire. 
E' un male perchè leggere il telegramma inviato dai responsabili ENEL negli Stati Uniti poche ore dopo la tragedia all'ingegnere convinto di poter governare la frana fa male.  
E’ un male perché al silenzio generato dalla visita al cimitero e al museo di Longarone si aggiunge l’amarezza per l’ennesima storia tutta italiana che ha causato dolore, ha arricchito sul dolore, ha lasciato dolore, rabbia e rancore a chi è rimasto.
La sera scende e il pulmino sale verso Castello di Fiemme. Il Morazza chiede un pit stop per esigenze idrauliche. Al rincrescimento dell’autista impossibilitato ad una rapida fermata in mancanza di uno spazio in sicurezza per svolgere il servizio richiestogli, il Corbella tranquilizza quest'ultimo: ”Des se fermum, ghe mia premura. Tant, te se mia che vesìga che’l gà ul Morazza?”. Alla lode delle proprietà elastiche della vescica del Morazza l’allegra compagnia scoppia in una corale risate e a spazio individuato scende al completo sull’erba tra un tornante e l’altro, solidale con l’amico nello svuotare il prezioso organo. Tutti insieme con una mano sul fianco e l’altra a far da supporto all’accessorio per alcuni ancora polivalente per altri meno. Quella stessa mano che al termine della distensiva e comune tracimazione ci stringiamo tra noi come per congratularci del bel momento condiviso sulla via per la splendida Val di Fiemme dove siamo attesi dalla famiglia Necchi per la cena e dal fiabesco “Maso Pertica” per il pernottamento.
Nel primo e ultimo risveglio in valle lo scenario indica da subito come uno dei componenti sia a rischio scomparsa e infatti… 
La generale allegria per il cielo finalmente azzurro si stoppa subito per una domanda che sorge spontanea: 
”Il Piccinelli! Dov’è il Piccinelli?”. Lo sguardo di tutti si sposta sulla stalla. E infatti il Piccinelli è lì che parla ad un trattore che sarebbe capace di smontare e rimontare al buio. Lo guarda, lo accarezza e poi all’ennesimo invito degli altri lo saluta e torna tra gli umani. 
Prima di riprendere la strada verso casa andiamo non lontano, a Cavalese, per avere conferma di quanto avrebbero dovuto subire i militari di un “caccia” americano che il 3 febbraio 1998, per divertimento, hanno tranciato il filo della funivia del Cermis ammazzando venti persone. Il pilota e il tecnico a bordo furono riportati in fretta e furia negli Stati Uniti. Tempo dopo, puniti solo con una retrocessione di grado e il cambio delle rispettive funzioni, uno di loro dichiarò: ”Quando ci dissero che avevamo ucciso così tante persone scoppiai a piangere come un bambino e mi chiesi perché noi eravamo vivi e loro erano morti”. Già ex capitano Joseph Schweitzer al pari del pilota ex comandante Richard Ashby, ma anche del buon ex presidente del consiglio italiano Romano Prodi e dell’ex pornopresidente americano Bill Clinton, perché?