4 ore, 42 minuti e 50 secondi trascorsi combattendo il vento
gelido e la fatica, catturando emozioni, immagini e musica, tagliando il
traguardo a braccia alzate e sorridenti. La realtà della partecipazione alla
maratona di New York ha abbondantemente superato il sogno. Ai primi facili
entusiasmi del “siamo tutti con te” è stato necessario intervenire ricorrendo
al caro e vecchio ma sempre affidabile “fai da te”. Terreni di preparazione del
sogno principalmente due: l’anello per lo più in salita intorno alla Chiesa di
San Bernardino (un Santo in squadra è sempre utile…) a Induno Olona
e la
ciclopedonabile intorno al Lago di Comabbio con partenza e arrivo a Ternate. Da
non trascurare anche il tratto in asfalto (l’unico) di 950 metri a picco sul
mare nella splendida Isola di Levanzo, battuto avanti e indietro nella prima
decina di settembre.
Decisivo l’incontro con la nutrizionista Claudia Luoni in
arte Yaya
capace di infilarmi nella scarsa materia cerebrale rimasta la linea
guida per mangiare di più e meglio, come mi chiedeva da sempre la Marghe.
Fondamentali la visita sportiva in MAPEI dalla quale ho ricevuto in premio la
pastiglietta per tenere a bada la pressione, i consulti telefonici e un paio di
visite dal paziente dott. Carlo Guardascione, le indicazioni pratiche dal totem
Sandro Galleani e i massaggi al buio (per lui) del radioso fisioterapista
Daniele Cassioli, campione nello sport e nella vita di tutti i giorni. Poi oh,
c’ho messo anche del mio! Solo nell’aprile scorso a tre quarti del secondo giro
di camminata veloce del Lago di Comabbio (più o meno 20km) ho incontrato
parenti e amici scomparsi, visto il lago girarsi su stesso tipo “montagne
russe” e in cielo la scritta a caratteri cubitali “GAME OVER”. Imparata la
lezione, sei mesi dopo, passo dopo passo, corsetta dopo corsona, compresa una
scarpinata andata e ritorno con il Vanni e il Renato ai 3000mt del Bivacco
Leonessa, sono pronto.
Con 9kg in meno e 530 km nelle gambe metto piede
sull’aereo per New York. Con me la Marghe, la Ste di Sestero Stefano Zanini con
la sua Rossana, Roberto Cimberio con le sue tre donne Paola, Alessandra e
Giorgia, il vice presidente del VISPE Carlo Leoni. In attesa
dell'imbarco è scattata la foto di gruppo e il pensiero vola a quando e dove è
iniziata questa avventura.
Missione VISPE di Mutoyi, Burundi. L’occasione del terzo
viaggio in Africa era quella di condividere con Roberto Cimberio e Francesco
Caielli l’inaugurazione della scuola elementare di Bugenyuzi costruita grazie
anche a tanti varesini, camminare sul ponte di Kaziga, ristrutturato grazie a
tanti amici e distribuire la maglie Sestero ai donatori di sangue dell’ospedale
di Mutoyi.
Una sera, nella chiacchierata con gli Angeli di Mutoyi
(video) nel “refettorio religiosi”, il
Cimberio salta fuori con la promessa “torneremo da voi per inaugurare un’altra
scuola, questa volta professionale, dopo aver corso la maratona di New York del
2014 con la quale raccoglieremo i fondi necessari tramite le scommesse su di
noi di amici e parenti”.
Cimberio e Caielli avevano già pensato ‘na roba del genere
nel 2012, quando la raccolta fondi diede i frutti sperati, anche se all’ultimo
momento la maratona nella grande mela venne annullata a causa dell’uragano che
passò da quelle parti il mese prima.
Quella sera a Mutoyi io e Stefano davamo per scontato che la
frase pronunciata dal Cimberio “torneremo dopo aver corso la maratona” fosse
riferita a se stesso e a Caielli. Confuso nell’applauso che concludeva
l’incontro il buon Carlo Leoni sussurrò sorridendo a chi gli stava vicino “la
facciamo, la facciamo”. Una esclamazione al plurale che io pensavo si riferisse
alla realizzazione della nuova scuola. E invece no.
Durante il lungo volo del
rientro a casa ragionavamo già come una squadra con tante cose da decidere ma
con la certezza che la promessa fatta agli Angeli dal Cimberio riguardasse
anche me.
Una buona causa per iniziare a correre c’era. A me serviva
anche una buona ragione che trovai velocemente: corretta alimentazione per
ridurre l’evidente tracimazione del giro vita. In una parola: salute.
Il classico sobbalzo dell’aereo in atterraggio sulla pista
del John Fitzgerald Kennedy mi riporta al presente.
Giusto per non farci sentire la malinconia del
meteo varesino fuori piove e fa freddo. La coda per uscire dall’aeroporto è
lunga e lenta. Lasciamo ogni tipo di impronta e risposte in serie a domande del
tipo “è qui per correre la maratona o per farsi saltare in aria?”, si arriva
finalmente in hotel.
Non riesco a chiudere occhio. Per il
fuso e per ciò che immagino di dover affrontare.
Come la vigilia di Natale anche quella della
maratona la passiamo in famiglia. Infatti sabato mattina, nel rispetto della
tradizione, i coniugi Bof e Zanini e la famiglia Cimberio si presentano al via
della “Dash”, camminata popolare di 5km nel cuore di New York con arrivo sullo
stesso traguardo della maratona.
Piove e fa freddo ma il morale è alto anche
perché nessuno di noi può immaginare le condizioni meteorologiche del giorno
dopo. A detta di molti le peggiori delle ultime 12 edizioni della maratona.
A spasso tra i grattacieli mi viene il dubbio
di essere capitato in un altro mondo. Un bus si ferma e apre la porta alle
persone in coda. Dalla stessa porta scende l’autista e con un telecomando libera
il montacarichi per scaricare un passeggero in carrozzina.
Operazione lenta, in
assoluta sicurezza, alla quale la coda assiste con ammirazione e pazienza. A
ruote sul marciapiede la persona con disabilità ringrazia tutti per la pazienza
dà una mancia all’autista e se ne va per i fatti suoi. L’autista risale sul bus
seguito dalle persone in attesa. Proseguo anch’io tra l’incazzato di esser
rimasto piacevolmente sorpreso da una scena che dovrebbe essere la normalità e
la conferma che un diversamente mondo non si può solo sognare. Pochi metri più
in là mi sveglio: all’imbocco dello scivolo che favorisce l’accesso al nostro
hotel c’è una bici legata con una catena al corrimano.
Cultura-coglioni:1-1.
Altra notte parzialmente in bianco. La sveglia
alle 5 è inutile. Inizia la vestizione e l’alimentazione. Tazza di thè caldo e
poi scendo nella hall già affollata vestito come se dovessi iniziare la salita
alla Capanna Margherita del Monte Rosa. Il tempo di mangiare controvoglia il
primo dei due mega panini - imbottiti di improbabili fette di tacchino
acquistate la sera prima in uno di quei bazar che da queste parti chiamano
“farmacia” - e pubblicare l’ultimo
messaggio pre gara su FB e il quartetto è compatto, pronto per salire sul primo
pullman. Direzione Manhattan da dove i traghetti vanno e vengono, senza fare
l’inchino davanti alla statua della libertà, trasportando migliaia di
maratoneti sulla sponda di Staten Island.
Alla stazione d’imbarco, la saggia decisione
del capitano Stefano Zanini è quella di fermarci al caldo fino al penultimo
traghetto. Così facendo evitiamo di prendere altro freddo e veniamo raggiunti
da Umberto ed Edoardo Croci, padre e figlio varesini.
Sbarcati dall’altra parte
ci ritroviamo per tre quarti d’ora in un’altra coda per il secondo pullman, per
fortuna serrata quel tanto che basta a ripararci dal vento gelido. Finalmente
arrivati al parco universitario ai piedi del ponte di Verrazzano, veniamo
scaricati, perquisiti e indirizzati ai rispettivi cancelli di settore.
Nell’aria “New York New York” cantata da Frank “The Voice” e i colpi di cannone
che scandiscono le partenze delle prime tre “onde”. Noi siamo nella quarta e
ultima. Ormai ci siamo. Lasciamo a terra i vestiti in eccesso che per
tradizione vengono donati a disagiati e barboni.
Dalla sveglia stoppata prima
di suonare sono trascorse 6 ore, 2 panini con tacchino, 5 barrette di vario
tipo, 2 schifosissimi gel al gusto d’arancio che gli addetti ai lavori
paragonano ad un abbondante piatto di pasta, una borraccia da 750cl di integratori e, per la prima volta nella mia
vita, proprio in simultanea al colpo di cannone del ”via!”, un granitico pocket
ripieno di un gelido coffe. I primi passi di corsa sul ponte - anzi, sotto il
ponte - tolgono il respiro. In parte per l’emozione causata dallo spettacolare
colpo d’occhio composto da un fiume colorato di gente che saltella dietro e davanti a noi e sullo
sfondo le sagome dei grattacieli di Manhattan,
ma soprattutto per il vento
siberiano e contrario che gela ogni parte scoperta del corpo: gambe, mani e
faccia. Scesi dal ponte la situazione migliora anche se la cornice di gente al
bordo della strada scalda il cuore ma non il resto. I primi km di corsa hanno
disperso l’allegra brigata. Solo io e Stefano siamo rimasti insieme ma poco
dopo il decimo km Stefano ha un’urgenza fisiologica che lo costringe in coda
davanti ad uno dei bagni chimici presenti sul percorso. Ci dividiamo
concordando che il sottoscritto continuerà a passo ridotto sulla sinistra della
strada. Da solo (si fa per dire…), arrivo al segnale delle 13 miglia dove una
mano sulla spalla e un urlo di gioia mi annunciano il rientro di Stefano giusto
in tempo per passare insieme davanti alla foto cellula che segna metà gara. Per
non pensare lui al dolore crescente causatogli da un tendine insignificante per
pedalare ma fondamentale per correre, io al fatto che alla fine manca ancora un
bel po’, basta guardarci intorno. Oltre a bere e mangiare ad ogni punto di
ristoro, facciamo foto, video, diamo un “cinque” a chiunque ce lo chieda,
balliamo e cantiamo. All’improvviso mi blocco. Davanti a me ho un signore che
di schiena, seduto in carrozzina, sta scivolando sulla strada spingendosi solo
con le gambe, scortato da tre volontari.
Seguendolo incrocio il suo sguardo. Da sotto
il casco mi sorride. Mi sblocco, lo avvicino, lo abbraccio e lo bacio senza
fermarlo poi lo lascio e riprendo il mio ritmo al fianco di Stefano. Entrambi
con gli occhi lucidi. Ma non per il vento. Ormai abbiamo attraversato anche il
Bronx. Stefano inizia la caccia alle mogli che più o meno sappiamo dove ci
aspettano tra il pubblico. In realtà loro ci avevano già visti e incitati molto
prima ma noi nel casino non le avevamo sentite. Eccole finalmente! La breve
sosta è provvidenziale e l’abbraccio rigenerante. La gente a bordo strada è
impressionante. Entriamo a Central Park ma oltre al cartello di benvenuto c’è
quello che smorza il nostro entusiasmo ricordandoci che all’arrivi mancano
ancora 6,195 km di saliscendi. Consapevolezza che ci fa comunque gestire al
meglio il finale tagliando il traguardo come sogniamo da mesi: insieme e
sorridenti.
Nessuno di noi due pensa al tempo. Gli addetti interrompono il
nostro abbraccio per metterci la medaglia al collo, scattare la foto ufficiale,
coprirci con una provvidenziale metallina e una calda mantella. Poi ci
spingono verso l’uscita dove, camminando ancora per qualche centinaia di metri,
ritroviamo la Marghe, la Rossana e le donne Cimberio.
Altri abbracci, altre
foto e poi via di buon passo verso l’albergo perché il tremore per il freddo è
diventato ingovernabile e tale resta anche una buona mezz’ora dopo la doccia
calda e il ricovero sotto le coperte. All’appuntamento nella hall per la cena,
fissato la sera prima, ci presentiamo puntuali e in buone condizioni.
E’
commovente lo scambio di abbracci, leggere in quanti ci hanno seguiti da casa e
il pensiero comune per i nostri amici in Burundi che stanno costruendo una
scuola professionale a Bugenyuzi con tre laboratori che saranno intitolati a
tre angeli: Carolina Dalla Bona, Luca e Martino Colombo.
Per
correre con noi: www.cimberiorun4africa.it