Per la Cimberio seduta era l’ennesima partita della vita. A
Gradisca d’Isonzo la squadra di Varese che gioca a basket in carrozzina aveva
l’esame senza riparazione per aprire un’altra porta della sua storia: quella
d’entrata nelle otto squadre più forti del diversamente Paese. L’ideale per
Damiano e compagni era vincere con più di sei punti di vantaggio per
raggiungere il Gradisca al secondo posto in classifica mettendogli il muso
davanti nella differenza canestri dei due incontri diretti. All’andata i
biancorossi si svegliarono solo al rientro in campo per giocare gli ultimi due
quarti quando ormai la partita era saldamente in mano ai friulani che chiudendo
sul 43 a 49 ripartirono da Malnate verso casa caricando sul pullman i due
punti.
Stavolta le squadre in campo erano due fin dall’inizio con i
padroni di casa forti di più centimetri e muscoli e i varesini dotati di
maggior tecnica e dell’ultimo arrivato Donghjeon. Fin dalla palla a due Varese
ha dimostrato tutto di più. Aggressiva in difesa, precisa in attacco ma soprattutto
determinata a non concedere nessuno spazio a Gradisca. Differenza cresciuta
minuto dopo minuto fino al + 26 finale che a due giornate dalla fine della
stagione regolare vale una ruota nei play off.
Ma la vittoria oltre il probabile passaggio del
turno ha detto molto di più. Al suo primo anno nel massimo campionato Varese
può contare su una squadra vera con un tecnico che ha capito più di ogni altro
collega che l’ha preceduto senza arrivare al termine della stagione cosa
significa allenare l’Handicap Sport.
L’andata e ritorno a Gradisca, dieci ore
di pullman inframmezzate dalla partita che valeva una stagione, hanno messo in
evidenza un gruppo di giocatori e di dirigenti che prima di festeggiare la
vittoria ha pensato ai compagni costretti a casa.
Un gruppo che ad ogni partita
casalinga sa far muovere da casa tanta gente che magari nemmeno conosce le
regole del basket in carrozzina ma l’ha scoperto e lo segue perchè lo gioca una
squadra di Varese che ha rischiato di scomparire, ha tenuto duro che più duro
non si può e con l’aiuto di pochi ha saputo rialzarsi e quindi, trattandosi di
basket da seduti, compiere un miracolo. Un gruppo che quando viaggia deve
smontare le carrozze per salire in carrozza e rimontare le carrozze per
scendere dalla carrozza. Un gruppo abituato a montare e smontare carrozzine e
protesi ma determinato a non smontarsi mai.
Un gruppo integrato composto da disabilità, culture e Paesi
diversi capace di accogliere e inserire senza contraccolpi o sbandate anche un
giovanottone arrivato a Varese dall’altra parte del mondo con il suo bagaglio
di centimetri, muscoli e tecnica.
Per il ventiseienne sud coreano Kim Donghjeon
l’innesto nella squadra di basket in carrozzina di Varese è stato immediato e
vincente. Amputato della gamba destra dall’età di sei anni in seguito ad un
gravissimo incidente automobilistico, Kim scopre il basket da seduti a quindici
anni diventando in breve uno dei migliori giocatori del suo Paese, miglior
“Centro” ai Giochi Asiatici del 2014.
Al suo terzo anno nel campionato italiano dopo le due
stagioni a Macerata, nella partita di Gradisca Kim ha messo in mostra il meglio
di se. Cattivo con gli avversari, propositivo con i compagni, piovra a rimbalzo
e mano calda, sempre con un sorriso in stile Bud Spencer stampato sul viso.
Conclusa la sua fatica, dà il cinque ad ogni componente della comitiva varesina
in trasferta, stringe la mano e abbraccia il suo avversario diretto - il
quarantenne bosniaco Izet Sejmenovic, altra storia tutta da raccontare figlia
della tragica guerra nella ex Jugoslavia - e infine rivolge un lungo applauso
allo sportivissimo pubblico di casa che per l’occasione ospitava un
ammiratissimo Francesco Moser.
“Stasera abbiamo fatto una grande partita - attacca Kim -
non sapevo che bastava vincere di 7 altrimenti mi sarei fermato prima visto che
dovevamo recuperare le cinque ore di pullman dell’andata e adesso ce ne toccano
altrettanto per tornare a casa”.
Ah, quindi Varese è già casa?
“A Varese e con questa squadra mi sono trovato subito bene -
continua Kim senza far vedere il colore dei suoi occhi - Sto bene con i miei
nuovi compagni, con i dirigenti, i tifosi e mi piace molto il vostro “Apollo”
(aperitivo…).
Dopo i due anni trascorsi a Macerata ero curioso di vivere
una esperienza tutta nuova che purtroppo ho dovuto iniziare a stagione in corso
perché ero impegnato ai Giochi Asiatici con la mia nazionale”.
Com’è il basket in carrozzina in Corea del Sud?
“Rispetto all’Italia è decisamente meno considerato e di
minor qualità. Nel campionato nazionale giocano sei squadre delle quali solo
due sono a buon livello. Qui invece si incontrano grandi squadre e ottimi
giocatori. A Macerata pur ottenendo buoni risultati alternavamo partite
esaltanti e deludenti. A Varese fin dal primo allenamento ho capito di essere
arrivato in una grande squadra composta da ottimi giocatori in grado di
giocarsela contro chiunque”.
Un voto in pagella a Varese per vivibilità e accessibilità.
“Varese è molto graziosa e mi sembra che per chi come me
cammina grazie ad una protesi sia possibile muoversi abbastanza agevolmente.
Invece, l’aspetto che voglio sottolineare è la naturalezza con la quale da voi
una persona in carrozzina o con una protesi si muove tra la gente senza
diventare un’attrazione o destare sguardi particolari.
In Corea purtroppo non è così”.
Era il caso il giorno prima di giocare una gara che
vale una stagione di farsi un tatuaggio al limite del condono edilizio?
“In effetti non è stata una bella idea - sorride Kim, finalmente ad occhi
socchiusi - prima di giocare mi sono messo sul braccio una dose industriale di
crema che il sudore ha ripulito in fretta causandomi un bruciore poco
piacevole. Non importa, è una cosa che volevo fare per dedicarla a mia figlia nata da pochi mesi che mi ha raggiunto in Italia con mia moglie e i miei cari.
Ho messo la sua data di nascita, il suo peso, il suo piede attuale a grandezza
naturale e il nome che abbiamo scelto per lui: Riwon”